Veduta dinsieme Corridoio dingresso

Quello che un tempo era il corridoio dell’Albo Pretorio nel quale venivano esposti tutti gli atti che era necessario rendere pubblici, dall’inizio degli anni Duemila ospita una selezione di dipinti legati al Premio Poletti. Il premio, bandito dal 1870 al 1941, fu istituito per volere dell’architetto Luigi Poletti ed era finalizzato a sostenere i più promettenti pittori, scultori e architetti formati presso la locale Accademia d’arte. Grazie a queste opere è possibile farsi un’idea della produzione pittorica locale tra Otto e Novecento, caratterizzata da punte di eccellenza quali l’Abramo e Sara di Giovanni Muzzioli e la Francesca da Rimini di Ernesto Parmeggiani.

Veduta dinsieme Sala Torre Mozza

Non tutti sanno che la torre detta “mozza” un tempo era un’alta torre civica che fu gravemente danneggiata dai terremoti del XVI e XVII secolo e abbassata definitivamente nel 1671. Prima di allora dalla sua estremità il suono della campana trecentesca rintoccava a ogni convocazione del Consiglio. Nelle stanze interne erano custoditi importanti documenti della Comunità e chi tentava di appropriarsene era giustiziato con la pena di morte. Oggi alcuni reperti di età romana esposti nella sala ricordano l’importanza di Mutina, la ricca colonia ricordata da Cicerone come “splendidissima” che giace sepolta sotto metri di depositi alluvionali. Sono qui esposti dipinti e sculture degli inizi del Novecento appartenenti alle raccolte del Museo Civico: a differenza delle opere esposte nel corridoio dell’ex-albo pretorio, essi testimoniano un nuovo e più diretto approccio con la realtà, proprio di una generazione ormai insofferente ai dettami della cultura accademica. Significativo è in particolare il trittico di Casimiro Jodi con la Processione notturna intorno al Duomo, il monumento principale del Sito Unesco di cui anche il Palazzo Comunale fa parte.

Veduta dinsieme Ingresso alle Sale storiche.

Sono qui collocate le cassapanche dipinte da Francesco Vaccari e una tela ovale raffigurante l’allegoria della Giustizia provenienti dal palazzo dei Giudici alle Vettovaglie, che un tempo sorgeva sul lato Sud di Piazza Grande. In una parete di questo piccolo spazio sono esposti quattro ritratti di illustri modenesi riferiti a Girolamo Vannulli; da sinistra verso destra si distinguono il medico Francesco Torti, lo scrittore Alessandro Tassoni, il letterato Lodovico Castelvetro, e il poeta Francesco Maria Molza.

Veduta dinsieme Camerino Confirmati

Il Camerino, che si trova tra la Sala del Fuoco e la Sala del Vecchio Consiglio, era in origine una piccola loggetta aperta verso il Palazzo del Marchese d’Este.
Grazie al raffinato trompe l’oeil delle quadrature prospettiche monocrome, opera di Antonio Carbonari, l’esiguo spazio del Camerino sembra espandersi: finte paraste e loggiati aggiungono profondità alle pareti mentre il soffitto sembra aprirsi grazie alla composizione di vari elementi architettonici. I quattro busti a chiaroscuro dedicati a Bartolomeo Schedoni, Ercole dell’Abate, Francesco Vellani e Francesco Vaccari furono aggiunti nel 1770 da Girolamo Vannulli per rendere omaggio agli artisti che avevano lavorato alle decorazioni pittoriche del Palazzo.

Veduta dinsieme 1.

Qui nel Cinquecento si riunivano i Conservatori che governavano la città. Nel 1545 essi decisero di rinnovarla creando un ambiente in perfetto stile rinascimentale caratterizzato dal ciclo di affreschi dipinto da Nicolò dell’Abate su suggerimento dell’umanista Lodovico Castelvetro per ricordare le origini romane di Modena. Il singolare nome di questa sala è dovuto alla presenza del camino e alla storia che ruota intorno ad esso: qui infatti il Comune faceva tenere acceso perennemente il fuoco per gli ambulanti che vendevano le proprie merci in piazza e salivano per prelevare le braci con scaldini simili a quelli appesi al camino e donati da un privato cittadino proprio per ricordare questo uso civico.

Veduta dinsieme Sala Vecchio Consiglio2

Situata nell'ala che inglobava l'antico Palazzo del Marchese, la stanza fu destinata alle riunioni del Consiglio comunale all'inizio del Seicento, subito dopo il trasferimento della capitale estense da Ferrara a Modena (1598), quando i Conservatori vollero per le loro riunioni una sala più imponente e aggiornata sul nuovo gusto barocco che si stava imponendo. Furono qui trasferiti gli stalli cinquecenteschi dei Conservatori provenienti dalla Sala del Fuoco e la volta fu decorata con un programma che celebra l’amor di patria e le virtù del buon governo affidato a due artisti modenesi che lavorarono contemporaneamente anche nei cantieri ducali, Bartolomeo Schedoni (1578-1615) e Ercole dell'Abate (1573-1615).
Il colore dominante della sala è il giallo giunchiglia, uno dei due colori della comunità modenese, che caratterizza la tappezzeria in damasco delle pareti, dove motivi floreali si alternano allo stemma municipale, e quella delle poltrone settecentesche.

Veduta dinsieme Sala degli Arazzi 6

Sono tele o sono arazzi? L’ambiente, originariamente adibito ad archivio, è chiamato “Sala degli Arazzi”, ma si tratta in realtà di tele dipinte che simulano i più preziosi arazzi realizzate da Girolamo Vannulli con una tecnica diffusa nella Francia del Settecento che evocano tre momenti della Pace di Costanza concessa da Federico Barbarossa ai Comuni della Lega Lombarda, evento fondamentale per la conquista dell’autonomia da parte della città.
Da sinistra verso destra si susseguono: la Preparazione al trattato di pace, Il podestà riceve l’omaggio dei rappresentanti dei Comuni e infine L’Imperatore Barbarossa firma la Pace di Costanza con i rappresentanti dei Comuni. Contemporanee alle tele sono la scrivania multipla, la specchiera disposta sopra al camino e le sei poltroncine in legno laccato, altri manufatti sono invece più tardi come il tavolino intarsiato.

Veduta dinsieme Sala di Rappresentanza2

La Sala ospita dagli inizi degli anni Duemila un importante nucleo di opere del pittore Adeodato Malatesta (Modena, 1806-1891), costituito negli anni Venti del Novecento, da Matteo Campori per la nuova Sala Malatesta del Museo Civico, di cui era direttore, riunendo i dipinti di proprietà civica ad altri provenienti dalla Galleria Estense. L’esposizione documenta la ricca produzione di quello che fu certamente il più importante artista modenese dell’Ottocento, per vari decenni direttore della locale Accademia d’Arte e autorevole consulente di coloro che governavano la città sia prima che dopo l’Unità in materia di tutela del patrimonio artistico. Tra i dipinti spiccano Tobiolo ridona la vista al padre, importante opera di soggetto biblico appartenente alla fase purista del pittore e un’ideale galleria di ritratti dei modenesi dell’Ottocento che comprende Francesco IV d’Austria Este, la figlia Maria Teresa appoggiata ad una balaustra da cui pende uno scialle con motivi cachemire all’epoca di gran moda, nobili e borghesi ma anche ritratti di gruppo come quello della Famiglia Guastalla e diversi autoritratti.

Veduta dinsieme Sala Bifore

Le bifore e le trifore visibili in questo ambiente, cioè le arcate con una doppia e una tripla apertura, rivelano la facciata del duecentesco Palazzo dei Notai o della Ragione che chiudeva il lato Nord della Piazza. Il pavimento della sala corrisponde più o meno al porticato antistante, oggi in muratura ma un tempo probabilmente in legno. Sono qui esposti due dipinti del Museo Civico, Scena di famiglia di Massimiliano Prandini e Il cappello del nonno di Venceslao Bigoni che testimoniano l’interesse per la pittura di genere proprio della pittura di fine Ottocento.